All’inizio della storia la danza, la musica, la poesia, il teatro, la psicologia erano una continuità ininterrotta e fluente, espressione unica dell’anima collettiva e singolare. Questa tragedia prolungata variabile che è stata il secolo ventesimo ha visto – frammista a una serie impressionante di orrori, di inquinamenti, di catastrofi epocali – la possibilità di un ritorno di questa globalità nell’espressività umana: come avanguardia, come tentativo, come aspirazione, come rimedio.

Danza e psicologia: la plasticità della forma sviluppa conoscenza umana, così come il ritmo diviene scansione diacronica degli eventi che senza posa si susseguono.

Danza e terapia: così il ritmo stravolge l’esistenza umana e la ricompone in volute variabili e imprevedibili, in spirali che si avvitano nella profondità di se stessi: «I confini dell’anima, nel tuo andare, non potrai scoprirli, neppure se percorrerai tutte le strade: così profondo è il logos che le appartiene»

Danza ed insegnamento: il fondamento di uno sviluppo armonico sovrappone dissonanze e consonanze, tensioni e risoluzioni, timbri strani ed imprevisti, congiungimenti e disgiunzioni, none maggiori e settime diminuite, in un canone ad imitazione, in una polifonia interminabile che è l’essenza stessa del mutamento.

Così Maresa  (Langella) è un ponte connessionale, sospeso ed assurdo (vero cioè) fra i campi inizialmente diversificati della danza, della psicologia, della terapia e dell’insegnamento: che altro avrebbe dovuto fare, essendo così felicemente pluralità unitaria di se stessa, se non realizzare, se non condurre a termine un così necessario programma? 

Sergio Piro (1927-2009 Psichiatra)